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Se la prossima gara di campionato della Roma sembra il più classico degli incontri da “testa-coda”, solo sulla carta dal risultato già scritto, è sulle rispettive cucine che la partita è molto più equilibrata.

La cucina romana e quella emiliana si assomigliano. Sono generose, saporite e impiegano ingredienti semplici, con risultati che sono delle vere e proprie esplosioni di gusto, che appagano il palato senza mezzi termini.

Un po’ come la schiettezza e la simpatia dei romani e degli emiliani, che non disdegnano mai le battute e, con i forestieri, sono sempre disponibili a consigliare quella che, secondo loro, è la trattoria migliore.

Mi capita ogni anno, nel tragitto vacanziero verso le Dolomiti, di effettuare una tappa d’obbligo proprio in Emilia, per spezzare il viaggio e prendersela comoda, scuse che celano in realtà l’immancabile voglia di regalarsi una cena con i fiocchi.

E allora, ogni volta, ecco il consiglio del benzinaio, del barista o del concierge dell’albergo, che mi indirizza verso incredibili scoperte culinarie.

Ne ho provate di ogni, guidando nella calura settembrina e tra i campi concimati di quella pianura che più padana non si può, e ormai nella mia personale classifica, ho scelto il mio posto del cuore.

Sarebbe troppo facile utilizzare queste righe per promuoverlo. Vi basti sapere che si trova nei pressi di un’uscita dell’autostrada Modena-Brennero, e che l’accoglienza riservata è sempre calorosa, anche per chi non è un cliente abituale, per una naturale propensione verso il viaggiatore, seriale o occasionale che sia.

Il proprietario è uno di quei personaggi inossidabili, che sfida il passar degli anni con quella passione per la ristorazione che ancor oggi mi stupisce. Non fa mai mancare la sua presenza al tavolo dei commensali, per offrire una scaglia di parmigiano reggiano, per chiedere come procede il pasto o se si ha bisogno di qualcosa.

La scorsa estate, neanche a farlo apposta, si avvicina al mio tavolo, e dopo un tripudio di affettati, gnocchi fritti e tagliatelle, ecco apparire tra le sue mani una bottiglia che più artigianale non si poteva. E subito, comincia a raccontarci la storia del sassolino.

Il nome tradisce la sua provenienza, Sassuolo, dove nel 1800 alcuni speziali elvetici, chissà perché sostando proprio a Sassuolo, sperimentarono le proprietà dell’anice stellato, utilizzandolo per questo liquore da fine pasto, che oggi ha perso quella connotazione da “liquore per signore”, ed è diventato l’ammazza caffè ideale dei pranzi e delle cene di queste parti.

Insomma, un po’ come un vecchio spot radiofonico ci consigliava, dopo TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO, di festeggiare o di consolarci con un liquore, il sassolino, che vinca o perda la nostra squadra del cuore, resta imprescindibile.

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